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Auto cinesi Dongfeng, Bruno Mafrici: strategia da riconsiderare

Quando il marchio cinese Dongfeng ha fatto il suo ingresso ufficiale in Italia, l’attenzione era massima. Sostenuto da una joint venture ben strutturata – DF Italia Srl, partecipata da Car Mobility e dalla holding PBF di Paolo Berlusconi – il gruppo aveva affidato a Bruno Mafrici il compito di guidare la fase di avvio e consolidamento sul mercato.

Imprenditore con esperienza nel settore, Mafrici ha messo in campo una rete di relazioni e un modello operativo pensato per armonizzare le ambizioni del costruttore cinese con le esigenze del mercato italiano.

La presentazione al Fuorisalone 2024 del marchio premium VOYAH – con i modelli Free, Dream e il prototipo Icozy – ha segnato l’avvio ufficiale di un progetto che, fin da subito, puntava in alto. Nel corso dei mesi, l’operazione ha visto il coinvolgimento di importanti gruppi della distribuzione, accordi con istituti finanziari, l’apertura di un centro ricambi per l’Europa meridionale e una pianificazione commerciale molto dettagliata.

Oggi, a distanza di pochi mesi, il quadro appare però meno lineare. Le tensioni tra Unione Europea e Cina, l’ipotesi di dazi e meccanismi come l’eco-score, hanno spinto molti costruttori asiatici a rivedere i propri piani nel Vecchio Continente.

In questo contesto, anche il progetto Dongfeng sembra aver subito una variazione di rotta. Lo ha lasciato intendere lo stesso Bruno Mafrici con un intervento pubblico diffuso sui suoi canali ufficiali, nel quale si legge: “Ho creduto fin dal primo giorno nel progetto Dongfeng Italia, contribuendo alla costruzione di una rete operativa con risorse, energie e competenze. Oggi, però, mi trovo costretto a prendere atto di una sgradevole evoluzione del progetto“.

Secondo Mafrici, il costruttore avrebbe avviato “un’attività parallela che sta replicando il network sviluppato con DF Italia e Car Mobility“. Una dinamica che, pur senza scivolare in dichiarazioni polemiche, solleva domande sulla tenuta degli accordi e sulla visione strategica adottata da alcuni grandi gruppi cinesi in Europa. “Non è solo una questione personale o societaria. È il modo in cui si pensa di fare impresa, il rispetto per i territori, per i concessionari coinvolti e per i clienti che hanno creduto in un progetto di lungo respiro“, prosegue Mafrici, ribadendo che la presenza in Europa richiede “un modello di gestione capace di valorizzare le risorse locali, rispettare i contratti e costruire fiducia“.

Il caso Dongfeng non è isolato. Negli ultimi mesi, diverse operazioni avviate da costruttori cinesi hanno incontrato ostacoli analoghi. In molti casi, la volontà di penetrare rapidamente i mercati europei si è scontrata con una realtà più strutturata e regolata, dove la costruzione di relazioni stabili è parte integrante del successo commerciale.

Alla base del messaggio di Mafrici non c’è uno scontro aperto, ma una riflessione più ampia sull’equilibrio necessario tra apertura all’innovazione e salvaguardia delle buone pratiche imprenditoriali. “L’Europa – conclude – non è terreno per scorciatoie. È un mercato che premia serietà, coerenza e responsabilità. Ed è su questi valori che avevamo immaginato di costruire un progetto solido e duraturo“.

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