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Cafarnao – Caos e miracoli: Recensione

“Volevo diventare un uomo bravo, rispettato e amato. Ma Dio non vuole questo”. Zain, dodicenne, pronuncia queste parole in tribunale, dopo aver chiamato in giudizio i suoi genitori, con l’accusa di averlo messo al mondo. Succede in “Cafarnao – Caos e miracoli”, terzo film per la regista libanese Nadine Labaki, che porta in scena un ritratto della Beirut contemporanea sfiorando le corde di un Neorealismo non troppo lontano dalla cinematografia italiana degli anni 50. Il film è stato presentato in concorso al 71esimo Festival di Cannes, vincendo il Premio Speciale della Giuria ed è arrivato nelle sale italiane lo scorso 11 aprile.

Zain non va a scuola, lavora e si occupa dei suoi fratelli minori, in particolar modo della sorella undicenne Sahar che viene data in sposa ad Assad, l’uomo per cui Zain lavora. Allora Zain fugge e incontra un’immigrata illegale etiope, Rahil, che accetta di ospitarlo a patto che lui badi a suo figlio Yonas, quando lei lavora. La donna scompare e Zain si occupa del piccolo come fosse suo fratello, finché non lo affida alle cure di Aspro, un losco commerciante che ha intenzione di dare il bambino in affidamento e in cambio aiuterà Zain a raggiungere la Svezia, procurandogli un documento falso. Poco dopo Zain apprende la morte precoce della sorella, incinta di Assad. In preda alla rabbia Zain torna a casa e pugnala Assad, viene trasferito nel carcere di Roumieh. Qui riesce a telefonare ad una trasmissione televisiva e annuncia di voler far causa ai suoi genitori.

“Capharnaum” in francese, significa proprio caos e si riferisce ad un villaggio biblico, nell’antica Gallia, maledetto per essere troppo caotico e dove Gesù avrebbe compiuto diversi miracoli; è proprio sulla scia di questo caos misto ad una serie di ossessioni, dice la Labiki, che si posa il suo sguardo da cineasta. A questo punto ci si chiede cosa effettivamente abbiano di così miracoloso l’immigrazione, l’emarginazione sociale, il razzismo, tutti temi affrontati nel film; eppure, in quel mondo di “non privilegiati”, non si dà per scontato neanche l’accaduto più ordinario, come il fatto che Zain sorrida per la prima volta solo alla fine del film.

Numerose sono state le critiche alla retorica e l’estetizzazione della pellicola, che nel trattare temi così delicati e attuali avrebbe dovuto risparmiare alcuni espedienti forse troppo magniloquenti e romanzati. Ma è proprio questa la leva di uno scopo e di un significato che vanno al di là del film stesso; l’accusa individuale di Zain è in realtà una denuncia ad un mondo dominato dal caos e dall’incapacità umana, che, come accade nel film mette al mondo dei figli pur non sapendo prendersene cura e abbandonandoli così ad un futuro condannato. A difesa di una sceneggiatura calatasi in uno svolgimento a tratti inverosimile, bisogna dire che è forse questo l’unico modo per attirare un pubblico che non vive in prima persona situazioni così arbitrarie e lontane dalla sua quotidianità.

Il giovane attore protagonista è nella realtà Zain al-Rafeea, un profugo siriano. Anche lui, allo stesso modo del personaggio che interpreta è stato privato del diritto di essere un bambino (arrivato sul set non sapeva nemmeno leggere e scrivere). Le scuotenti vicissitudini che costellano la vita di Zain, come quella di molti altri bambini come lui, fanno da fondamenta al chiaro impegno civile volto alla denuncia di un’infanzia mancata, alla necessità di avere un documento che attesti che esistiamo, alla paura di ciò che è diverso da noi. Senza considerare le numerose e prestigiose candidature assegnate al film, tra cui l’Oscar e il Golden Globe al miglior film straniero, il film raggiungerà l’apice del suo obiettivo se anche un solo spettatore tornerà a casa con la consapevolezza che a pochi passi da lui esiste un mondo dove il “Caos” è ancora in fase transitoria per dipanarsi in “Miracoli”, che a lui spettano di diritto e ad altri no. E proprio in mezzo a questo “capharnaum” Zain non desidera una giuria plaudente, un pubblico acclamante, non vuole commuovere ma “vuole solo che i grandi ascoltino quello che ha da dire”.

 

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