Quando i “Mi piace” di Facebook mettono l’azienda nei guai

Quando i “Mi piace” di Facebook mettono l’azienda nei guai

Il gestore di un sito Internet corredato del pulsante «Mi piace» di Facebook può essere congiuntamente responsabile con il social network stesso della raccolta e della trasmissione dei dati personali dei visitatori sul suo sito. È quanto accaduto all’azienda tedesca di abbigliamento online Fashion ID, di recente giudicata nella sentenza (C-40/17) della Corte di Giustizia europea per aver violato la privacy degli utenti del sito web. Anche se la Fashion ID non era il responsabile del trattamento dopo la trasmissione, è stata reputata corresponsabile con Facebook Ireland di aver raccolto e trasmesso i dati di chi cliccava il pulsante. Secondo i giudici, quindi, l’azienda tedesca era consapevole di usare i like di Facebook a scopo commerciale per ottimizzare la pubblicità dei suoi prodotti. I benefici che entrambi ne derivavano erano di carattere commerciale in quanto sia l’azienda di Zuckerberg che il sito di moda ottenevano pubblicità per i loro prodotti. Per la Corte l’errore di fondo sta nel non aver fornito ai visitatori del sito web informazioni su identità e finalità del trattamento.

Il social network di Zuckerberg si trova di nuovo nei guai per problemi legati alla trasmissione di dati personali senza il consenso degli interessati. Lo spettro della violazione della privacy è molto forte oggi e le regole del GDPR europeo entrato in vigore a maggio 2018 sortiscono i primi effetti. Usare il pulsante “Mi piace” di Facebook sul proprio sito web potrebbe costituire un reato (tranne nei casi in cui la persona manifesta il consenso o se si persegue un interesse legittimo) perché i dati vengono ceduti mentre la pagina è ancora in caricamento e gli utenti non hanno il tempo di annullare la sottoscrizione.

Facebook si difende e punta il dito contro i plug-in di altri social come Twitter e Linkedin o altri siti web che incorporano i social sharing buttons che si servono dello stesso meccanismo. Con una nota del 31 luglio Jack Gilbert, associate general counsel di Facebook, ha fatto sapere che: “I plugin di un sito sono strumenti comuni e importanti nel panorama odierno di Internet. Accogliamo con favore il chiarimento derivante dalla decisione di oggi per siti web e fornitori di plugin e strumenti simili. Stiamo esaminando attentamente la decisione della Corte di Giustizia Europea e lavoreremo a stretto contatto con i nostri partner per garantire che possano continuare a beneficiare dei nostri plugin social e di altri strumenti aziendali, nel pieno rispetto della legge”.

Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, quanto accaduto serve a renderci consapevoli che si è avuto un innalzamento del livello della privacy riducendo così il rischio di utilizzare in modo improprio i dati personali.

Chiara Raganelli

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